Tutte le regole per le antenne televisive dopo la riforma del 2012

Continua la fioritura delle parabole televisive su balconi e pareti degli edifici, pur nell’esistenza di un impianto centralizzato; in città, di solito, per usufruire dei programmi tv a pagamento, mentre in altre zone (specie montane) per collegarsi al satellite (Tv-Sat) data l’insufficienza del digitale terrestre. I problemi conseguenti si diramano in una triplice direzione: salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio e dell’aspetto paesaggistico, compatibilità con i regolamenti comunali, decisioni delle assemblee sugli assetti condominiali.
Antenna singola
Il diritto all’installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato, nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass. 12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto all’informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass. 1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all’art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell’immobile, anche altrui, purchè rispettino le seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate: a) recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private; b) preservare in ogni caso il decoro architettonico, la stabilità e sicurezza dell’edificio; c) non pregiudicare il libero uso della proprietà altrui secondo la sua destinazione; d) non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del bene comune secondo il loro diritto; e) non alterare la destinazione di tale bene. La possibilità di un “minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03). L’installazione non richiede alcuna autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell’impossibilità di utilizzare spazi propri o di avvalersi di un’antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle varie unità immobiliari devono consentire l’accesso per la progettazione e l’esecuzione delle opere; gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell’amministratore per ogni opera da eseguire nell’edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l’antenna, solo se occorre procedere a modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l’assemblea legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all’intervento del giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l’amministratore debba procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l’entità delle modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l’utente è obbligato ad indicare. L’amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a suo carico.
L’antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall’esistenza originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120 c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l’autonomia del diritto del singolo, dichiarando nulla la delibera che vieta l’antenna per il solo fatto dell’esistenza di un impianto centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l’assemblea non può impedire l’installazione, né imporre la rimozione dell’antenna; ed a sua volta l’amministratore non potrebbe eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es. danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento (ubi e quomodo) ma non sull’an (installazione), poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale nell’art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d.”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di un tale interesse pubblico e l’ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L’altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di “preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un’inversione di rotta perchè, dopo la riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all’antenna, trasformato in “anarchia” da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha modificato in qualche misura il comune senso dell’estetica e del decoro. In genere i regolamenti edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi giurisprudenziali, è vietata quell’opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all’intero edificio che a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass. 1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell’edificio al momento in cui l’innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere sull’immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all’aspetto paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice eliminazione della parabola (e con essa del diritto all’informazione), ma adotterà una soluzione che consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto che quest’ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti, quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.
Antenna condominiale
Si deve intendere per impianto centralizzato quello idoneo a servire potenzialmente la generalità dei condomini ed installato sia per volontà del costruttore fin dall’origine, sia successivamente per effetto di delibera condominiale. L’orientamento del legislatore è di favorire la realizzazione di queste strutture, con particolare riguardo agli impianti satellitari. La norma già citata della l. 249/1997 (dove l’espressione “antenne collettive” va intesa come “antenne condominiali”) ne stabilisce l’obbligatorietà per tutti gli immobili di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione generale; e la l. 66/2001 qualifica le opere di installazione di nuovi impianti satellitari come “innovazioni necessarie”. Il D.M. per lo sviluppo economico 22/1/2013, sulle regole tecniche per gli impianti (terrestri e satellitari) centralizzati d’antenna, indica come scopo la “riduzione ed eliminazione della molteplicità di antenne individuali, per motivi sia estetici sia funzionali”, ma fa salvo il già richiamato disposto del 209 D.Lgs. 259/2003 che garantisce il diritto all’antenna singola (ora, come s’è detto, ribadito e meglio disciplinato dal nuovo 1122-bis c.c.).
Posto, dunque, che la convivenza fra parabole individuali ed impianti centralizzati è perfettamente legittima, sia pure nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, il discorso si sposta sulla categoria di soggetti che devono sostenere l’onere dell’opera condominiale.
Nel caso di impianto (terrestre o satellitare) sorto insieme con l’edificio siamo in presenza di una “parte comune” (prevista ora dalla riforma al n. 3 del 1117) che obbliga tutti i condomini alle spese di gestione e conservazione (da ripartire in egual misura e non in base ai millesimi, perché l’uso della tv prescinde dalle dimensioni dell’appartamento: Cass. 2916/69). È difficile, in questa situazione, che possano sorgere antenne singole, attesa la mancanza di un interesse dell’utente che gode già dello stesso servizio offerto dal condominio e posto anche a suo carico; a meno che non si tratti di servizi aggiuntivi, satellitari (Tv-Sat, pay-tv) o terrestri.
Differente si profila la situazione quando l’impianto centralizzato viene successivamente deciso dall’assemblea condominiale con le maggioranze del 1120 c.c. La l. 66/2001 stabilisce che “le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie” (art. 2-bis). Per alcuni autori non è dato sapere cosa in realtà il legislatore abbia voluto intendere con tale espressione. Si potrebbe pensare che lo scopo era quello di sottolineare (in modo poco felice) l’importanza dell’evoluzione tecnologica ed una preferenza verso questi nuovi strumenti per le maggiori opportunità che possono offrire in collegamento con il “mondo”; o più probabilmente che la suddetta qualifica serviva a giustificare l’originario ridotto quorum di un terzo dei condomini e delle quote millesimali (portato ora dalla riforma a 500 millesimi con la maggioranza degli intervenuti) che consentiva una più facile realizzazione. Altri, invece, ritengono che il carattere di “innovazione necessaria”, escludendo per definizione la natura voluttuaria dell’opera, negherebbe ai condomini dissenzienti la possibilità di invocare la norma (1121) sulle innovazioni “voluttuarie” per essere esonerati dal contributo.
La tesi non sembra convincente. Intanto la citata legge si riferisce solo agli impianti satellitari, per cui resterebbero incomprensibilmente esclusi dal carattere di “necessarietà” gli impianti tradizionali, che pure assolverebbero al compito di ridurre la selva delle antenne singole. In secondo luogo, il 1121 prevede anche l’esonero per l’innovazione “gravosa” e tale potrebbe risultare il nuovo impianto per chi ha già una sua fonte del servizio. Ma altri argomenti si possono aggiungere, ben più sostanziali.
In realtà, il problema va considerato sotto una diversa angolatura alla luce di talune indicazioni che provengono dal sistema: divisibilità del servizio (utilizzazione separata: 1121), possibilità di uso diverso del medesimo (1123), necessarietà di alcune parti comuni per l’esistenza dell’edificio (1117). Il servizio non si annovera tecnicamente tra i beni (cose ed impianti) e può formare oggetto solo di godimento in comune (Cass. 9096/2000). Ma anche per i servizi bisogna distinguere fra quelli necessari per la vita della comunità o destinati in permanenza per il titolo all’uso e godimento collettivo (ad es. servizi idrici, fognari, di illuminazione, fornitura del gas, portierato) e tutti gli altri. La Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile la rinuncia agli impianti superflui o illegali, con il conseguente esonero della spesa per la loro conservazione (Cass. 4652/91). Nel caso in esame, più che di rinuncia, si tratterebbe di non partecipare all’uso di un servizio perché dello stesso già si gode in base ad un proprio impianto individuale che si ha diritto di mantenere; e la “misura diversa” (prevista dal 1123) in cui un condomino può servirsi del bene comprende anche il “livello zero”.
Non può l’assemblea violare la libertà della persona ed imporre un onere economico (contributo per l’impianto ed acquisto del decoder) giustificandolo con l’offerta di programmi diversi ed ulteriori, per il quali il condomino non ha interesse. A maggior ragione, poi, la decisione condominiale non è vincolante in quei casi (in verità piuttosto rari) di soggetti che non sono interessati alla tv e dovrebbero acquistare l’apparecchio, l’eventuale decoder e provvedere al pagamento del canone Rai. La legge parla di “servizi nell’interesse comune” (1123, 1130 n. 2) e non è tale il servizio televisivo centralizzato quando non risponde ai bisogni di alcuni condomini. Si aggiunga, infine, che esistono poi i programmi della tv a pagamento, per i quali un impianto condominiale vincolante richiederebbe l’unanimità di tutti i condomini. Si può, allora, concludere che l’antenna centralizzata obbliga alla spesa solo coloro che l’hanno accettata; e dunque la coesistenza di impianti singoli (quasi sempre parabole) e condominiali è, purtroppo, destinata a rimanere, con i limiti per l’antenna individuale (comunque non indifferenti) che sono stati descritti in precedenza.
L’opera in esame fa parte delle innovazioni “sociali o agevolate” di cui al secondo comma del 1120 c.c. e va approvata con i 500 millesimi, ma senza spiegare effetti obbligatori, come s’è appena detto, verso i condomini che godono già del servizio ed hanno diritto di mantenere la loro antenna. A questo punto, non si vede come possa attribuirsi alla norma una portata generale, poiché non siamo in presenza di una “innovazione” in senso tecnico se in sostanza si ricade nella installazione di un’antenna “collettiva” appartenente ad un gruppo di condomini (come spiegato nel paragrafo che segue) che non richiede alcuna maggioranza, tanto meno qualificata, ma solo il consenso degli aderenti. L’efficacia della disposizione si riduce all’ipotesi di un coinvolgimento di tutti i condomini od anche a quella di un bene “potenzialmente condominiale” che, pur rimanendo in uso ed a carico dei soli consenzienti, è predisposto tecnicamente per la possibile utilizzazione successiva degli altri condomini (si faccia l’ipotesi di obbligatorio smantellamento, iussu iudicis, di alcune parabole) secondo la logica dell’ultimo comma del 1121. Ma pure questa ridotta eventualità di configurare una “innovazione” con il suo quorum maggiorato viene a cadere quando l’opera non altera la destinazione del bene comune né limita il diritto d’uso degli altri condomini. Almeno questo è il senso da attribuire allo strano inciso introdotto nel 1120 (al n. 3 del secondo comma) “ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”: la mancanza delle indicate modifiche elimina la qualifica di “innovazione” e ripristina la maggioranza ordinaria (di 1° o di 2° convocazione).
Nel caso di rinnovo dell’impianto per intervenuta obsolescenza, l’opera costituisce una miglioria, non un’innovazione; comunque delibera vincola sempre i soli condomini interessati.
Superfluo aggiungere che una chiarificazione legislativa sarebbe quanto mai necessaria su questi come su altri punti della riforma.
Antenna collettiva
Più condomini possono consociarsi per installare una parabola multiuso, per godere di servizi aggiuntivi (Tv-Sat, “pay-tv”) rispetto a quelli del digitale terrestre di cui è dotato il condominio oppure per supplire (specie nelle zone montane) all’insufficiente ricezione del digitale stesso, od infine (come sarebbe auspicabile) per disboscare la massa di antenne singole a tutto vantaggio dell’estetica dell’edificio. Un tale l’impianto può chiamarsi “collettivo”, per distinguerlo da quello condominiale che ha la sua fonte in una delibera assembleare rivolta ad una generalità di condomini. Richiamando quanto detto nel primo paragrafo, i regolamenti comunali potrebbero imporre l’accorpamento delle parabole in una o più (ma sempre limitate) antenne “collettive” per salvaguardare il decoro dell’edificio. Se, ad es., in un edificio vi sono più scale, è ragionevole che si installi una parabola per ogni scala a beneficio dei condomini che diano la loro disponibilità. Insomma, se non è possibile che le antenne siano un bene comune di tutti i condomini bisogna che siano almeno beni in comune di gruppi di condomini. In questi casi gli interessati provvedono a proprie spese all’impianto collettivo secondo la medesima procedura (1122-bis) illustrata per l’antenna individuale. Ne consegue la formazione, in tale limitato ambito, del c.d. “condominio parziale”, ai sensi del 1123 che richiama anche”opere od impianti”. Poiché va comunque informato l’amministratore, di norma gli si dà il mandato di organizzare il necessario lavoro e di scegliere l’impresa esecutrice di comune accordo con i soli condomini richiedenti; mentre l’assemblea verrà coinvolta solo se si rendano necessarie modifiche delle parti comuni.